Il murale realizzato ad Aielli nel 2017 resta ermetico e suggestivo, nel suo angolo riparato e misterioso. Il suo titolo, però, ci offre l’occasione di comprenderlo e avvicinarlo, anche se solo in parte. Il nome è una citazione della celebre fotografia astronomica scattata dalla sonda Voyager 1 nel 1990: nella foto il nostro pianeta è immortalato dai confini del Sistema Solare e appare da questa prospettiva piccolo e insignificante, un “granello di polvere”, come lo chiama l’astrofisico Carl Sagan, un “pallido puntino blu” che ci ricorda il nostro smarrimento di esseri umani e il dovere che abbiamo di prenderci cura l’uno dell’altro e della terra che è la nostra casa e che raccoglie in sé, nonostante le piccole dimensioni, tutta la storia dell’umanità. Il muro di Alessandrini sembra quasi l‘altra faccia di una stessa medaglia, o una diversa prospettiva sull’uomo e sul mondo, visto non più da una distanza abissale, ma da un punto di vista estremamente intimo e vicino. Con una zoomata drastica sul nostro pianeta ci mostra la nostra esistenza, l’uomo che fa i conti con la vita e con la morte, col finito e l’infinito, con l’enigma di se stesso fatto di paure, angosce, insicurezze. Attorno a lui si stagliano simboli inquietanti che mostrano tutte le miserie umane, ma lasciano forse ancora qualche spazio di manovra, qualche spiraglio di luce e speranza, qualche possibilità di scegliere per una liberazione piuttosto che per una prigionia: la lucertola che sa di cambiamento e rinascita, l’unico ramo della vite che continua con coraggio a proiettarsi verso l’alto, e soprattutto la maglia da prigioniero, posizionata a metà strada tra la possibilità di infilarla e quella di toglierla, con le sue righe che intanto vanno colando e sciogliendosi su tutto il dipinto, lasciandoci immaginare una trasformazione in atto.